sabato 24 settembre 2011

Sulla legge 194 - Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza

 
È faticoso, lo è sempre, cercare di difendere i diritti e la verità che sentiamo dentro di noi. 
E parlo di verità che si sente, che si vive, che non si vuole imporre agli altri se non come richiesta di accettare una diversa visione della vita, non certo di condividerla o di farla propria. 
Non mi riferisco cioè alla Verità, quella con la V maiuscola, quella che discende da una fede religiosa, da un dogma indiscutibile, perché io credo che nessun essere umano possa arrogarsi il diritto di portare la Verità, accusando praticamente tutti di essere in errore se non si condivide tale rigida posizione.
In altre parole non accetto che, per motivi di presunta superiorità morale, si possano chiamare assassini coloro che sostengono la Legge dello Stato 194, in pratica almeno il 50% degli italiani.

Chi vuole a tutti i costi imporre la propria visione legata all’insegnamento della Chiesa Cattolica, o alla sua coscienza, togliendo agli altri, implicitamente, il diritto di avere la propria coscienza, compie un atto di arroganza abissale, si rivela un estremista,  nega la libertà altrui

Io non accetto, da sempre, chi semina odio. E autodefinirsi pro-vita significa esattamente questo, seminare odio sotto le mentite spoglie di persone umili e rispettose. Significa definire chi la pensa diversamente pro-morte.  
Che dialogo sarà mai possibile con chi mi reputa un assassino, un delinquente, con chi cioè è prevenuto a tal punto contro di me?

Eppure la legge 194 è una legge fondamentale per un paese civile e laico, è una legge da difendere con ogni mezzo, è uno strumento di progresso conquistato dalle donne e da chi le ha sostenute alla fine degli anni 70, dopo lotte e innumerevoli tragedie personali.

Voglio però sgombrare il campo da equivoci. L’aborto non è un successo, non è una conquista, non è una cosa del quale andare orgogliosi, né come donne né come uomini.  
Il vero scopo della legge è la libertà, è il superamento delle censure sul corpo femminile, è la dignità della donna, della coppia, della famiglia e dei figli. 
Il fine ultimo non è far abortire, è esattamente l’opposto, cioè permettere una maternità consapevole e non imposta da leggi tribali, è la libertà di avere un figlio desiderato, amato, cercato, con un nido pronto ad accoglierlo, e non una situazione tragica, un handicap grave che lo segnerà tutta la vita, o l’affido del proprio figlio ad altri genitori partendo da una situazione personale comunque drammatica, ignorando cosa prova una madre o una donna che non vuole o non può essere madre.

Se chi giudica abortista chi difende la 194 cominciasse ad ammettere una sana educazione sessuale in ogni ordine  di scuole (cosa frenata da molte associazioni di famiglie cattoliche di stretta osservanza), se queste persone chiedessero una volta per tutte ai preti di pubblicizzare i mezzi anticoncezionali, che sicuramente non uccidono nessuno, se smettessero di proibire la distribuzione dei preservativi tra gli studenti, se facessero opera di educazione seria delle ragazze di recente immigrazione senza barricarsi nelle scuole private cattoliche dove gli stranieri sono praticamente assenti (come del resto gli handicappati), e se alle ragazze incinta si creassero le condizioni non per la carità, ma per un vero aiuto di Stato, allora sicuramente calerebbero ancora di più gli aborti ancora oggi praticati. 
Diffido dei politici ipocriti divorziati e di quanti in privato tradiscono ed abbandonano ma che si dicono pubblicamente a favore della famiglia.

Le donne che fanno un uso anche tre volte l’anno della pillola del giorno dopo vanno educate, perché certi comportamenti non sono accettabili, occorre dirlo. Quella pillola non è un anticoncezionale normale, ma questo deve essere spiegato, e l’educazione deve essere capillare, non casuale, affidata a qualche medico o a qualche insegnante volonteroso.

E poi si arriva al punto che i cattolici non accetteranno mai, ma che occorre puntualizzare. Una cellula fecondata, cioè uno zigote, non è un essere umano. Io non credo che arrivi un’anima a renderlo tale, al momento del concepimento. Non ci credo. E’ mia libertà non crederci.

Se nelle fasi iniziali dello sviluppo embrionale e fetale, prima che il sistema nervoso inizi a provare sensazioni non meccaniche, non vegetative, prima che arrivi il dolore insomma, o la coscienza, si cade in uno dei motivi per interrompere la gravidanza previsti dalla legge, è perfettamente lecito farlo. Non si commette alcun omicidio, non si uccide nessun essere umano. Un essere umano è tale dal momento della nascita, non al terzo o al quarto mese. In quella fase è solo parte della donna che lo sta formando e nutrendo, non è capace di vita autonoma, neppure di respirare. Né di nutrirsi. Non parliamo poi di capacità superiori.

La legge è chiara sulle motivazioni che possono dare diritto alla interruzione volontaria della gravidanza, e parla di condizioni “per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”. Più chiara di così non potrebbe essere. Non si parla di semplice cambio di umore, o di paura di smagliature nella pelle. Si parla di salute fisica, e di difficili condizioni. Molte di queste condizioni potrebbero essere superate e prevenute da uno Stato sociale serio, o da una seria informazione, ma lo Stato è assente e l’informazione è negata.

E poi viene il problema degli obiettori, che pretendono di svolgere un ruolo nelle strutture pubbliche ma senza applicare una legge dello Stato. E non rinunciano, per questo, a parte dello stipendio, per la parte di funzione che non svolgono. E le stesse strutture pubbliche sono colpevoli perchè non garantiscono, con un adeguato numero di medici non obiettori, il servizio in tutto il territorio nazionale. Qui il gioco diventa veramente squallido. Un medico in una clinica cattolica, ovviamente, verrà invitato ad essere obiettore. Allo stesso modo come un insegnante di religione designato dalla curia sarà invitato a rispettare i principi cattolici (mai conosciuto un insegnante cattolico in servizio divorziato, ad esempio). Nelle strutture pubbliche la cosa è ancora controllata in parte dai cattolici, e, a parte questo, non viene garantita una quota di medici non abortisti. Alcuni medici, culturalmente non obiettori, in certe condizioni si dichiarano obiettori per evitare di essere costretti a praticare solo aborti per tutto il loro tempo professionale. Ed è insomma una sorta di diritto concesso ai medici negandolo in contemporanea alle donne.

Ci sono poi i casi assurdi di medici abortisti uccisi dai pro-vita, negli USA, terra di libertà e contraddizioni.
Potrei continuare, in questo sintetica esposizione, e magari se avrò altri spunti lo potrò anche fare, ma vorrei concludere con la realtà che c’era in Italia prima del 1978. Non so quanti aborti clandestini venissero praticati. Ci sono solo stime, che per alcuni non sono attendibili. E non so neppure quante donne più fortunate andassero in cliniche private o in Svizzera. So però che anche una sola donna, anche una sola madre morta in questo modo non era accettabile, perché lasciava figli, marito, affetti. Ed era una persona che avrebbe potuto dare ed avere ancora tanto dalla vita. Una donna solitamente giovane, sana. 
Io, di fronte a questa realtà, non ho dubbi. Meglio eliminare un grumo di cellule (che forse un giorno avrebbero potuto diventare un essere umano) che uccidere una donna. E meglio ancora prevenire tutto questo, per non obbligare alcune donne al dramma doloroso di un aborto, che le segnerà comunque per tutta la vita, perché nessuna donna seria pensa all’aborto con leggerezza, mai.  Questo lo possono fare certi uomini, ma solo certi uomini.
                                                                                                                Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

3 commenti:

  1. ho sintetizzato qui il lavoro di alcuni amici su fb e le considerazioni personali che si possono ancora trovare in alcuni gruppi che ho fondato o ai quali ho collaborato.
    https://www.facebook.com/group.php?gid=121857534642
    https://www.facebook.com/group.php?gid=37921576246
    non sono link attivi, mi spiace. occorre copiare ed incollare l'indirizzo

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  2. l'aborto è femmina.anche il suo dolore è femmina.
    manca sempre la parte dell'uomo in questa triste storia.
    passano gli anni l'ambiente sanitario è ora più attento e disponibile. Rimane sempre la mancanza dell'uomo per viene ancora cresciuto e educato come estraneo a problemi considerati solo femminili.

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    1. in una coppia anche l'uomo partecipa alle decisioni e fa il possibile per restare vicino alla compagna in tutti i modi possibili. che molto pesi sulla donna è indiscutibile,come è indiscutibile che molti vigliacchi fuggono quando di loro ci sarebbe bisogno,o che a volte siano solo troppo giovani ed immaturi per affontare la realtà. in questo caso è mancata l'educazione, in qualche passaggio fondamentale. la parte dell'uomo non dovrebbe mai mancare. e molti uomini non dimenticano o non lasciano ad altri le responsabilità. il problema è sociale, è di tutti. perchè è di tutti il dovere di mantenere il diritto dato alla donna sola o alla coppia di applicare la legge 194. altrove, sul blog, indegnamente mi definisco femminista. So che un uomo non può esserlo, ma io ci provo. Silvano.

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