sabato 31 agosto 2013

La Cultura di Benigni


Vedo il mondo con i miei occhi, e non potrebbe essere altrimenti.
Ho vissuto una vita cercando di trasmettere la conoscenza come un gioco e anche una cosa seria, senza mai dimenticare queste due entità, talvolta incapace di miscelarle nel modo giusto, talvolta inadatto ai trasmettere anche una sola delle due, e fallendo.
Altre volte invece sono riuscito, a modo mio, e con meno capacità, ad imitare alcuni miei maestri del passato, alcuni miei veri maestri. Ed allora ne sono stato felice.
Se mi guardo intorno ora però non so quanto è servito il mio lavoro, a cosa sono servito io. Il mondo è diverso da come lo pensavo e lo penso tutt’ora. Ci sono persone che hanno sofferto ed hanno rischiato, hanno intrapreso attività commerciali di successo, si sono battute con gli altri, e non per questo sono state peggiori di me, anzi. Su di loro si fonda l’economia dell’Italia, non certo su quanto ho fatto io, rimasto in fondo un bambino, nei miei momenti migliori. Non ho mai avuto i piedi per terra, in quel senso, e con gli affari sono sempre stato negato, andando incontro a clamorosi errori di valutazione con alcuni acquisti importanti.

Io però credo ancora che la cultura sia importante, anche la cultura disinteressata, quella che non si raggiunge per i soldi, ma per il piacere estetico di fare una cosa bella, perché la vera cultura è bella. 
La cultura non è noia, mai, anche quando è studio faticoso. Come non è un vero lavoro quello che si fa trovandovi piacere, e come non è vera fatica quella dell’atleta che si allena per raggiungere in modo onesto un risultato. La fatica esiste, è chiaro, ma si dimentica subito dopo averla vissuta, e resta solo la soddisfazione di una sfida vinta.
E leggo che secondo alcuni in televisione o altrove non si trasmette vera cultura, perché chi se ne incarica non ha la preparazione necessaria, perché guadagna per raccontare storie, e magari è impreciso e spesso dice delle vere e proprie bestialità.
Benigni è forse un personaggio sovrastimato, e viene citato dai puristi come un furbo che parlando di Dante o di Costituzione non fa che abbassare il livello culturale, diffondendo idee superficiali e portando acqua solo al suo mulino. Non hanno torto i critici, non tutti i torti almeno. Pure a me vengono a noia certe sue spiegazioni, infarcite di frasi ripetute, sempre le stesse, come se a volte gli mancassero le parole giuste. Ne vedo i suoi limiti, almeno alcuni. Eppure lo difendo, io difendo Benigni.
Difficilmente un professore colto e preparato riuscirebbe a fare i suoi ascolti in televisione, portando via la scena a “Paperissima”, a certi film da cerebrolesi, a Bonolis o a mille altre trasmissioni sul genere citato. Rubare spettatori a questo tipo di trasmissioni è già, da solo, un merito che deve essergli riconosciuto.
Quella di Benigni forse non è Cultura, ma sicuramente parla di cultura, parla di cose serie, non di pettegolezzi o di giochi a premi. Poi certo lui non è il massimo, ma non ci sono alternative vere, e il panorama della televisione non ci offre nulla di meglio al suo posto.

Non tutti la pensano come me, ovviamente, e quindi offro un altro punto di vista. Basta cliccare QUI per leggere.

Andrea Camilleri e Tullio De Mauro invece sul comico toscano hanno un'idea simile alla mia. Ti invito quindi a leggere il loro:

La lingua batte dove il dente duole

                                                                            
                                                                                     Silvano C.©


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venerdì 30 agosto 2013

Uomini che amano le biciclette



Era troppo facile intitolare questo post: “Ladri di biciclette”. Troppo scontato. Il richiamo al titolo del poliziesco dello scrittore e giornalista svedese Stieg Larsson è ugualmente un richiamo, pur se rovesciato, ad un altro titolo famoso: “Uomini che odiano le donne”, ma è anche adattato ai tempi, è più complesso, almeno nelle intenzioni.
Io voglio parlare veramente di uomini (e donne, ovviamente) che amano le biciclette. Di un amore antico, non legato alla moda dei rampichini o delle due ruote griffate da 8mila euro, ma alla fatica del lavoro e degli spostamenti per chilometri su strade sterrate, di un amore che lega un'intera città, Ferrara, a questo antico mezzo di trasporto, dove le ciclabili solo da poco hanno fatto la loro parziale comparsa, perché ancora è tutta la città ad essere un'enorme pista ciclabile e non solo pochi tratti di strada con questa destinazione.

A Ferrara è bello vedere giovani donne che vanno in bicicletta con le gonne, è normale vedere anziani che non camminano quasi più andare ancora in bicicletta, a dire il vero in modo un po’ pericoloso. Non sono sempre belle le biciclette di Ferrara, quasi mai almeno, sono vecchie ed usate, spesso veri ferrivecchi, che però hanno ancora un enorme valore commerciale  (provate a chiedere quanto costano anche se usate).  I bambini imparano presto ad usarle, e muoversi in centro è quasi impossibile se non si ha la bici, pena impiegare il triplo del tempo con il doppio della fatica.
E da epoche immemorabili a Ferrara, ed in tutta l’Emilia, le biciclette hanno chi le ruba: i ladri di biciclette.

Ricordo una storia legata a Carpi e Modena, di molti anni fa. Cronaca di costume, direi, degna quasi di una novella, avendo voglia di scriverla, sul modello di quelle che si scrivevano ai tempi della Secchia rapita.
Per essere breve, quasi tutti i giorni feriali si poteva vedere il mattino, sulla provinciale da Carpi a Modena, un personaggio andare verso il capoluogo in bicicletta, pedalando di buona lena per quei non pochi chilometri.
Gli autisti dei mezzi pubblici e molti automobilisti avevano notato da mesi questa persona, ed un po’, a livello inconscio, si chiedevano chi fosse, sino a quando sulla cronaca locale de: “Il Resto del Carlino” uscì un articolo chiarificatore di quel mistero.
Tutti i giorni il signor XXX rubava una bicicletta a Carpi, andava  a Modena pedalando, la rivendeva e poi tornava a casa in treno. Lo faceva per bisogno, pare, ma ora non ricordo più i particolari di quei furti romantici. E non so altro di quel personaggio.

Un tempo però a Ferrara non era così alto il rischio di furti, tutto sommato limitati nel numero, e ancora bastava un piccolo lucchettino o ricordarsi di metterle sempre in posti chiusi per salvarsi. Ad Amsterdam invece, già 30 anni fa, si rubavano biciclette con una facilità enorme. Ho visto questi mezzi legati con grosse catene da moto ma senza la sella, o senza una ruota, oppure con la sola ruota rimasta, mentre tutto il resto della bici era scomparso.
Ora questo capita anche a Ferrara. In particolare nella zona della stazione sono centinaia le biciclette ridotte a carcasse inservibili, ma anche in tutto il resto della città spariscono in un attimo. Chi le ruba però non ama le biciclette. La bicicletta è sacra, è una protesi che non si tocca, che si deve rispettare. Chi le ruba è un figlio degenere della città, forse uno che viene da fuori, che poi le rivende o le porta all’estero, caricate su furgoni diretti ad est.

Perché scrivo tutto questo? Perché è da anni che si rubano le biciclette, a Ferrara, però io direttamente non ho mai subito un furto, perché non ho mai comprato bici nuove o appariscenti, e perchè sono sempre stato prudente, oltre che fortunato.
Recentemente tuttavia capita che devo svuotare il mio appartamento, con ansie e depressioni, e nella sequenza di operazioni per liberare i locali ho sostituito troppo presto una buona serratura nella mia cantina, che devo abbandonare come tutto il resto, montata da me anni fa, col precedente chiavistello e lucchetto esterni. Sono bastati pochi giorni di allentata protezione e mi hanno aperto la cantina rubandomi una delle delle due bici che vi conservavo. Quella alla quale ero meno affezionato, a dire il vero, ma sempre un’ottima vecchia e funzionale amica, che mi ha servito a lungo, malgrado i suoi acciacchi, con buoni freni, cestino anteriore e luci funzionanti con una dinamo, senza diavolerie moderne a led.

Ciao vecchia bici.
                                                                                       Silvano C.©


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giovedì 29 agosto 2013

Odio

In molto di quello che si pubblica in rete sul tema del rapporto tra i sessi io trovo spesso odio mascherato da battuta, da osservazione intelligente, da apparente disponibilità a discutere. Altre volte invece è odio puro, più onesto, senza tentavi di camuffamenti.
Sia da parte maschile che femminile vedo e leggo commenti che disprezzano l’altro sesso, e la cosa mi è sempre più difficile da accettare, sia che lo trovi in giovanissimi che in meno giovani, sia in adulti che in persona anziane.
Deridere una donna o una ragazza solo perché la natura non l’ha resa bella è di una cattiveria e stronzaggine mostruosa, ma ogni uomo, prima o poi, ha fatto una battuta in tal senso. La propria ragazza o compagna o quella che è risulta sempre migliore o quasi. Le altre sono cessi che nessuno vorrà mai.
La ragazza o la donna che vede avvicinarsi il maschio non gradito lo giudica lo sfigato di turno, quello che più che seghe non può farsi, perché non troverà nessuna donna sana disposta a seguirlo.
La madre che chiede i diritti per se stessa e per i suoi figli dopo che lui è scappato, è la puttana che vuole fregargli i soldi, e quindi deve essere combattuta in tutti i modi, con associazioni di uomini organizzati contro queste donne sanguisughe.
L’uomo di una certa età e non più tanto in forma che ti cerca è per forza uno da deridere, uno che pensa solo al sesso ma non ce la fa. È magari un impotente, che può solo guardare, poveretto. Ed è bello sparlare di lui con le amiche.
 La femminista dura e pura a volte non accetta il maschio, e arriva a teorizzare la sua soppressione ed una società senza uomini.
Il maschio in crisi che non sa accettare i tempi diventa violento, e comunque la donna è e resta un essere inferiore, con tutto quello che ne consegue.
Quella ragazza che neppure ti vede, bella e carina, giovane magari, è per forza un troia. Guarda come muove il culo mentre cammina. Sai quanti ne ha presi quella?
L’uomo maturo sposato incapace di raggiungere la soddisfazione nel matrimonio va a prostitute, oppure si masturba in chat o su siti pornografici, e regredisce a livelli adolescenziali, incapace di un dialogo serio, e l’altro sesso diventa il nemico. Oppure è lui il nemico, anche della propria moglie, che tradisce senza tradire, troppo vigliacco anche per quello. 
Oppure è lei ad essere insoddisfatta da lui, e quando può trova altrove una sua soddisfazione.
Si procede a volte odiando e ferendo, nascondendo o mostrando deviazioni o modi di concepire il sesso non adatti a tutti, ma dai quali, modi, gli altri che non capiscono sono esclusi, e derisi.
Pure chi è fedele e rinuncia a seguire una ragazzina senza abbandonare la moglie è lo sfigato che non sa vivere, che non libera la propria sessualità. Rinuncia alla propria libertà e felicità, mentre chi crea dolore ed abbandono, è furbo e realizzato.
Provo immensa pietà per il dolore che provano gli adolescenti rifiutati, derisi magari. Vivo rabbia per le donne abbandonate, magari dopo aver scoperto che sono incinta. Sento orrore per i discorsi che si fanno dietro le spalle di uomini e donne soli. A volte alcuni se la sono voluta e meritata, la solitudine, ma non serve l’inutile cattiveria della maldicenza.
Una sola cosa mi consola e mi fa capire che esiste una giustizia. Che tutti, assolutamente tutti, coloro che si sentono più furbi o più forti, siano uomini o donne, e che versano questo odio e queste malignità sugli altri, sono essi stessi oggetto di questi sentimenti e di questi discorsi, e se non lo sono ancora, lo saranno.
                                                                                       Silvano C.©


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domenica 25 agosto 2013

Sensi



I sensi non sono 5.
Scordiamoci questa imprecisione che viene tramandata da generazioni di insegnanti ed allievi, suffragata da libri di testo che, in modo metodico e pignolo, elencano i principali organi di senso umani: pelle, naso, lingua, occhi e orecchie.
Già la pelle, da sola, è sede di 5 diversi recettori: freddo, caldo, tatto pressione e dolore. La pelle è il nostro contatto primo col mondo esterno, il contatto del neonato con la madre, del feto nell’utero materno. È ciò che cercano gli amanti, è la nostra immagine quando siamo nudi.
Il naso e la lingua percepiscono assieme il cibo, l’aria, l’acqua, la terra. La lingua poi sa distinguere dolce e salato, acido ed amaro, e sa riconoscerne le miscele. La lingua sa baciare, leccare, parlare e sussurrare. Sa trasmettere sensazioni, non solo percepirle.
La cioccolata, prima di essere gustata, viene percepita dal naso, e così avviene per il vino. Quanta bellezza in tutto questo, e quante mistero in quanto ancora non sappiamo di come il nostro cervello capisce tutto questo.
Nelle orecchie poi, che sono due come gli occhi, arrivano segnali sonori, e noi ne distinguiamo la provenienza, si parla di stereofonia, ma quanto dell’udibile ci sfugge però, che insetti, pipistrelli, cani ed altri animali invece percepiscono. E poi, sempre nell’orecchio, noi abbiamo la sede dell’equilibrio, e con questo sappiano distinguere il sopra ed il sotto, oppure ci facciamo venire il mal di mare, quando ciò che vediamo non corrisponde a quello che il nostro labirinto conosce.
La vista è la regina dei nostri sensi, qualcuno ha persino la memoria visiva, e con la vista noi sappiamo il mondo, noi vediamo gli altri occhi innamorati o distratti. Con la vista leggiamo un libro, riconosciamo piccoli simboli, e facciamo partire la fantasia, come se avessimo gli occhi chiusi.
E così le sensazioni sono già 13, non più solo 5.
Ma non basta ancora, abbiamo recettori nei muscoli, nei tendini e nelle articolazioni. Il nostro corpo informa sempre il cervello di quanto gli succede, di come è situato nello spazio, di come si sta muovendo oppure è fermo. Ed altre sensazioni ci arrivano da organi interni, ad esempio ci fanno capire quando abbiamo fame, o dobbiamo andare in bagno.
Noi siamo esseri sensibili, insomma, anche i più duri ci cuore.
Ed abbiamo una “visione del mondo” diversa da quella di ogni altro essere vivente, vediamo solo alcune cose, mentre per altre siamo ciechi, insensibili. Non saremo mai come un cane insomma, ed un cane non sarà mai come noi, pur continuando a vivere nello stesso ambiente.
Che altro dire? Una cosa, si, un’ultima cosa: noi, individualmente, vediamo solo ciò che vogliamo vedere, o che siamo interessati a vedere.
Ad esempio alcune donne vedranno i bambini, se hanno figli o stanno per averne. Altre donne i bambini non li noteranno nemmeno. Alcuni ragazzini inizieranno a vedere le bambine e le donne, mentre sino a pochi giorni prima vedevano solo fumetti o videogiochi. Un affamato percepirà odore di cibo mentre chi non ha fame neppure se ne renderà conto. A tal proposito ricordo che bisogna sempre fare la spesa quando non si ha fame.
Un feticista dei piedi noterà che scarpe indossate, e curioserà dove altri neppure pensano ci possa essere un minimo di interesse. I sensi insomma sono tanti, spesso molto diversi tra noi e gli animali, e, messi in funzione da nostri interessi profondi, legati alla nostra età, al nostro sesso, alle nostre condizioni ed alla nostra educazione.
Sono i sensi la nostra misura del mondo.

                                                                                       Silvano C.©


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Aleta



Seconda media, età difficile, sia per ragazze che per ragazzi.
Aleta si confonde tra le tante, a volte sembra però provocare volutamente gli insegnanti maschi, con allusioni o domande alle quali non è possibile rispondere in una classe, o anche solo in un gruppo ristretto di alunni.
È attirata da alcuni appena più grandi che a volte passano accanto al cortile della scuola con motorini o fumando, dandosi arie da adulti, un po’ sbruffoni e un po’ faccia da schiaffi, solo perché il tempo corre e non aspetta, pressato da ormoni e desideri.
A scuola ha risultati accettabili e non sembra tanto diversa dalle altre.
Un po’ diversa però lo è: Fortran, il padre, l’ha violentata per anni. Ora è seguita dai servizi sociali. Lui è stato allontanato o forse imprigionato. Sarà difficile per lei recuperare quella fiducia persa, quell'innocenza che dovrebbe essere una ricchezza per tutti i bambini e gli adolescenti, un diritto inviolabile. Ma Aleta è forte. Supererà questa ingiustizia, senza mai scordarla, certo, ma costruendosi una nuova vita, senza violenze.

                                                                                       Silvano C.©


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Il muro

Ho sempre creduto che una base seria per realizzare la prevenzione dell’aborto sia l’informazione corretta senza censure da parte di nessuno, a prescindere dalla fede professata e dalle resistenze delle famiglie, dall’ostruzionismo di parte del sistema scolastico e di parte dello stesso ambiente medico.
Ovviamente ogni fase della vita ha le sue esigenze ed i suoi linguaggi, ed è inutile dare informazioni che non verrebbero né capite né quindi utilizzate in modo corretto.
Il mio concetto di morale è basato sull’uomo, non su un ente superiore o su premi futuri. Io voglio giustizia ora, in questa vita. E vorrei che nessuna ragazza restasse incinta se non convinta di quello che sta facendo e pronta ad accettare le conseguenze che questo comporterà sulla sua vita. Vorrei un atteggiamento più responsabile pure da parte dei ragazzi, perché una gravidanza è sempre da condividere, mai da fuggire come ladri nella notte o bambini mai cresciuti.
In tanti anni nei quali ho tentato indegnamente di trasmettere le informazioni ho commesso pure errori, ovviamente, e sono stato attaccato per aver insistito che una psicologa intervenisse nelle classi, a dare una informazione più completa. Ho rilevato una resistenza sotterranea molto forte, con gruppi di genitori organizzati o meno, con insegnanti di fede cattolica abbastanza freddi, se non decisamente contrari, con il mancato intervento diretto in contraddittori con gli insegnanti di religione, con ostacoli burocratici e mille altri piccoli intoppi. Eppure dovrebbe essere interesse preminente dei cattolici osservanti prevenire le gravidanze indesiderate e, non di meno, la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili.
Mi sembra un muro, confesso. La dottrina del divino che si oppone all’uomo, alla sua debolezza. Chi pretende astinenza non sa di cosa parla, visti i tanti casi di religiosi che non si astengono per nulla, vanificando il loro stesso insegnamento. Ben diverso è l’atteggiamento di apertura di parte del clero, solo tollerato però dalla gerarchia. Ma alla fine il muro resta.
                                                                                   
                                                                                       Silvano C.©


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domenica 18 agosto 2013

rifiuti in cassaforte


Conoscete quel luogo dove i cassonetti della spazzatura: organico, carta, indifferenziata e simili sono chiusi a chiave come se contenessero merce preziosa?

E sapete che esistono supermercati nei quali i sacchetti per la raccolta indifferenziata, venduti ad oltre 17 euro per 8 pezzi da 30 litri, sono conservati in cassaforte, col denaro ed i documenti importanti?

Quello è un paese dove qualcosa si è rotto, dove il contratto sociale deve essere reinventato a fatica, e nel quale la convivenza civile è a rischio.
Con il rispetto reciproco infatti nessuno sporcherebbe in casa altrui dando poi ad altri le proprie colpe, e vivremmo tutti in modo migliore.

Il problema è che differenziare comporta spese e fastidi personali.  In Trentino ad esempio bisogna pagare a parte per dotarsi dei sacchetti previsti per la raccolta oltre alla dotazione di base. Bisogna pagare per farsi ritirare le ramaglie del giardino.Occorre andare presso un rivenditore per gettare le pile esaurite. Bisogna riportarsi sino a casa i rifiuti dei propri spuntini in montagna. Si stanno riducendo sistematicamente i cestini lungo le strade per evitare che si getti l'indifferenziata che si dovrebbe smaltire negli appositi cassonetti personali o condominiali. Nei condomini poi qualcuno trova comodo approfittare del semianonimato per non rispettare le regole. Occorre recarsi presso la discarica per consegnare oggetti ingombranti, oppure telefonare, e non è gratuito
Spero di aver chiarito la questione e come la vedo personalmente. Grazie di avermi letto.
                                                                             
                                                                                       Silvano C.©


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Una sentenza che decreta morte

“Giudici eletti, uomini di legge 

noi che danziam nei vostri sogni ancora

siamo l'umano desolato gregge

di chi morì con il nodo alla gola.

Quanti innocenti all'orrenda agonia

votaste, decidendone la sorte,

e quanto giusta pensate che sia

una sentenza che decreta morte?”
 
(Fabrizio De Andrè: Recitativo)

Queste parole di un poeta e cantautore anarchico non sono certamente un trattato di diritto, né vogliono essere esaustive di un tema troppo grande per limitarlo a pur sempre bellissimi versi come questi. No. Del resto io stesso non sono uomo di legge, semmai la legge l’ho subita e rispettata, volente o nolente, pagando i miei debiti.

Un fatto - Il processo in Svezia ad Anders Behring Breivik, Il pluriomicida condannato ad una pena detentiva di soli 21 anni (poco più di 3 mesi per ogni vittima), in un carcere migliore di molti nostri collegi, ha aperto uno squarcio, ha spezzato un telo pesante nella coscienza di molti. Se si pensa a quanti paesi civili ancora adottano la pena di morte per reati molto meno gravi la differenza tra la Svezia e questi paesi è immensa.

Digressione 1 - Io ritengo l’uomo superiore ad ogni altra specie vivente, ritengo sbagliate pur se pietose le tesi animaliste, e ritengo fuorviante assimilare un uomo ad un cane, ad un delfino, ad un elefante. L’uomo è ben peggiore di questi esseri quando uccide, stupra, semina odio e fa scoppiare guerre. Ma nessuna altra specie ha creato la poesia di Ungaretti, nessuna ha solo immaginato la nona sinfonia di Beethoven, nessuna ha raggiunto la perfezione della Monna Lisa di Leonardo o del Perseo del Cellini, dimenticando volutamente capolavori immortali di artisti e geni di tutto il mondo, noti o sconosciuti. Chiarisco poi che non sono credente nel senso comune dato al termine, perché sinceramente non mi interessa un Ente superiore, in questo caso specifico. Io rifiuto la pena di morte per l’uomo data da un altro uomo che giudica un suo simile e si erge a divinità che dispensa o vita o morte. Nessun altro essere vivente, a quanto risulta dalle mie conoscenze etologiche, uccide individui della sua stessa specie in questo o in altri modi.

La situazione in Italia – Le carceri sono sovraffollate e vari partiti denunciano questa realtà. La stessa Europa ed Amnesty ci accusano di trattamento inumano dei detenuti. Restano in prigione persone in attesa di giudizio, che in alcuni casi poi sono giudicate innocenti o non aver compiuto il fatto. Molti detenuti, la maggioranza, appartengono agli strati deboli della popolazione, oppure sono immigrati. Non si fa seria opera di recupero e di reinserimento. La detenzione ha un costo elevato per la comunità. Alcuni assassini sono in libertà, senza aver mai scontato un solo giorno di detenzione (ad esempio chi ha investito ed ucciso mettendosi alla guida sotto effetto di alcol o droghe).

Possibili soluzioni – Poiché resto fermamente convinto della non umanità della pena di morte, sia come vendetta che come deterrente, ma sono consapevole che altresì la giustizia deve comminare una giusta pena per chi commette un delitto, rapportata anche alla gravità del delitto stesso, offro un'ipotesi di soluzione del problema, discutibile forse, ma propositiva, perché non si può solo criticare, si devono dare idee e possibili applicazioni diverse.
La mia ipotesi è che un assassino, comunque lo sia diventato, per volontà o per semplice colpa (escludendo solo il puro caso o la coincidenza assolutamente non voluta, cercata o resa possibile), debba sempre pagare con la detenzione, mai con la pena di morte. Penso poi che ogni detenuto non debba vivere in condizioni disumane, come avviene in Italia, anche se non siano un Paese piccolo e ricco come la Svezia. Credo infine che il detenuto non debba essere mantenuto a spese dello Stato, cioè di tutta la comunità. Occorre che chi viene recluso si paghi come minimo tutte le spese, e magari qualcosa in più, come risarcimento alla società, alle parti lese ed alle vittime. In altre parole i quasi 70mila detenuti devono lavorare, produrre, essere utili, nel modo più adatto alla loro preparazione professionale o lavorativa. Chi non ha commesso reati contro la persona o non è pericoloso deve essere lasciato libero di lavorare all’esterno del carcere, ma non di dormire fuori dal carcere stesso, ed il frutto del suo lavoro deve essere requisito per pagare il mantenimento della struttura di reclusione. Tutti gli altri dovrebbero svolgere attività fisiche o intellettuali a loro adatte. Il problema non è di poco conto tuttavia, perché il numero dei detenuti corrisponde quasi a quello di dipendenti ed indotto di una grande azienda. È tutto un sistema paese che va ripensato, con modifiche lente della struttura sociale, in direzione di una maggiore giustizia e civiltà. Ad esempio parte dei detenuti potrebbero essere impiegati al posto di immigrati pagati in nero nelle raccolte stagionali, altri nella prevenzione degli incendi boschivi con opere di ritardo o ostacolo passivo alla diffusione degli incendi. Nulla di inumano però, non lavori forzati con catene ai piedi a schiacciare sassi, solo una giusta restituzione alla comunità, con orari paragonabili a quelli di tutti gli altri lavoratori.


Digressione 2 – Io certe persone le metterei dietro le sbarre e poi getterei la chiave. Se qualcuno toccasse una persona che amo diventerei un belva, e progetterei vendette atroci. Se potessi mettere le mani su una persona del genere la ucciderei con le mie mani. Pure io penso queste cose, è innegabile, è un bisogno profondo, irrazionale, quasi scritto nel DNA. Però non sono io che posso fare giustizia. Non è il singolo che deve farla, ma è lo Stato. È lo Stato che deve fare in modo che io, in preda a impulsi umani ma non mediati da riflessione e ragione, possa commettere a mia volta altri delitti o anche solo errori. 
La pena di morte insomma non è un deterrente, fa cadere in mani umane un potere "divino" che non riconosco a nessuno, perchè uccidere non è come recludere, mai. Qualcuno non dimostra alcun pentimento, si comporta in modo tale da metitare oggettivamente la morte? E allora che non gli sia regalata la morte come espiazione, ma che la sua vita in terra diventi un vero inferno. La vendetta migliore per me è quella, se deve essere vendetta (anche se sarebbe meglio giustizia). Non mi piace l'idea che un assassino torni libero, questo non deve succedere, non dovrebbe succedere, ma la cosa non giustifica la sua soppressione, piuttosto giustifica mutare le leggi perchè non escano più in libertà. E chi si pente poi? Per questi la pena peggiore sarà la vita con il senso di colpa, sino alla fine.


Non ho conclusioni, ed il tema resta aperto. Aggiungerò e modificherò questo testo se avrò critiche o suggerimenti tali da indurmi a farlo, e leggerò in ogni caso con attenzione i commenti che chi vorrà mi farà, su questo blog, ringraziando sin da ora per l’attenzione,
                                                                                   
                                                                                       Silvano C.©


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martedì 13 agosto 2013

Salvezza dalla cecità


Passeggio su una pista ciclabile che per metà è anche pedonale, ai lati di un torrente, in un luogo che dovrebbe essere bello, pulito, utilizzabile da bambini e vecchi, da gente che vuole passeggiare al fresco o allenarsi un po’. Insomma, un luogo fatto per essere utile e bello.
Eppure scritte di tutti i generi poco a poco sporcano i muri raggiungibili. Spiccano le recenti NO TAV fatte con una bomboletta rossa e una sagoma, perché sono tutte uguali. Anche sulla linea bianca che divide ciclisti da pedoni. Lattine, bottiglie, sacchetti e carte abbandonate volutamente ovunque. Proprietari di cani che lasciano i loro amati amici sporcare sulla zona asfaltata, senza raccogliere le loro deiezioni. Uno scheletro di asse da stiro gettato direttamente in acqua.
Il Comune recentemente ha dotato questo percorso di nuovissimi distributori si sacchetti per i proprietari di cani, non più di una settimana fa. Stasera, mentre sono tornato a fare un breve giro sul posto, ho trovato alcuni di questi distributori svuotati, ed i sacchetti buttati sulla sponda del torrente, ad inquinare a loro volta, invece di essere usati per non sporcare.
Confesso che sono demoralizzato, che non vedo salvezza dalla cecità che ci prende, uno dopo l’altro, come in un romanzo di Saramago.
                                                                                     Silvano C.©


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La guerra delle previsioni meteo


Vivo in Trentino. Quasi ogni giorno o in televisione o in rete o sulla stampa leggo o sento di operatori turistici che contestano le previsioni meteorologiche, le giudicano penalizzanti ed inesatte, perché prevedono il cattivo tempo e poi, invece…
Meteotrentino è il bersaglio d’elezione di questa protesta che talvolta coinvolge pure le autorità provinciali e regionali. 
È comprensibile, sia ben chiaro, perché il Trentino e l’Alto Adige sono terre a vocazione turistica, che devono una buona parte della loro ricchezza alle bellezze ambientali sfruttate per 12 mesi all’anno dal turismo italiano ed internazionale.
Tuttavia, come sempre, voglio approfondire cosa significano e come incidono le previsioni meteo  su vari aspetti della nostra vita e come si deve intendere questa polemica. Quindi faccio due esempi tratti dalla mia esperienza personale, per iniziare a spiegarmi:
Esempio 1 - Alcuni anni fa ho organizzato, con la scuola, una gita in montagna con una guida alpina. Il progetto, pagato in parte con fondi scolatici, comprendeva lezione della guida in classe, poi uscita di un giorno in montagna, infine lezione conclusiva in classe. A circa 15 gg dall’uscita le previsioni meteo davano per quella data pioggia persistente. Ho messo in preallarme la guida. Questa mi ha assicurato che, in caso di pioggia, si poteva visitare un locale museo geologico (cioè avremmo dovuto tenere e sorvegliare per otto ore una classe di ventisette ragazzini in un paio di stanze con una raccolta di rocce). Passavano i giorni, le previsioni acquistavano sempre maggior attendibilità, e il responso era sempre pioggia. 
La guida mi spiegava che non poteva annullare l’uscita, che aveva altre attività programmate con un calendario fitto, che non avrebbe ricevuto il compenso se tale uscita non fosse stata effettuata, e che spostarla era difficile. A 7 giorni dalla mattina decisa per l’uscita le previsioni continuavano a dare pioggia e temporali. 
Io ero responsabile dei ragazzi nei confronti delle famiglie e di loro stessi,  provavo preoccupazione crescente per quella gita, sapevo che diversi di loro non erano attrezzati per la montagna e in particolare per la montagna col maltempo (le attrezzature serie costano, e non tutti se le possono e se le potevano permettere). Sarebbero saliti con scarpe inadatte, che si sarebbero inzuppate di pioggia dopo 10 minuti, non avrebbero avuto indumenti da sole e da pioggia, non si sarebbero vestiti tutti “a cipolla”, insomma, li avrei esposti al grosso rischio di ammalarsi, oppure a problemi per il mantenimento della disciplina e della sicurezza in un luogo chiuso troppo a lungo. Ho annullato l’uscita telefonando nell’ultimo momento utile alla ditta che ci forniva il pullman.  La gita è stata realizzata quasi un mese dopo, con un sole stupendo, e tutti sono tornati a casa stanchi ma allegri ed abbronzati.
Esempio 2 – L’anno scorso avevo solo pochi giorni a disposizione per una breve vacanza in Alto Adige (quest’anno non mi posso permettere neppure quelli, per problemi personali). Pensate che sia andato in giorni a caso, senza guardare le previsioni meteo? Assolutamente no. Ho scelto i giorni più favorevoli, ed ho trascorso il periodo nel modo migliore possibile, accettando ovviamente le immancabili nuvole pomeridiane con qualche goccia di pioggia che in montagna sono sempre possibili. Non ho scelto un periodo con previsioni di piogge intense e temporali.
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Un rifugio alpino, un albergo o una località turistica vivono molto male le disdette per maltempo, sono un danno economico enorme per loro. Non serve tuttavia oscurare le previsioni meteo di un sito locale. Ormai molti aprono più siti, e scoprono previsioni non tutte uguali. Alcune sono attendibili, altre meno, ma consultandone diverse e mettendole a confronto si ottiene, nel breve e medio termine, una previsione accettabilmente corretta.
Anche l’aeronautica militare del resto ha un sito pubblico che fornisce questo servizio, anche se non si spinge mai a previsioni che superino i pochi giorni.

In conclusione, oggi, le ferie sono sempre più brevi. Sono rarissimi quelli che possono permettersi un mese intero di vacanze o una casa di proprietà in località turistica e quindi naturalmente devono mettere in conto giorni belli e giorni brutti.  Chi ha solo una settimana a disposizione invece, se può, evita 3 giorni di pioggia. 
Del resto, spostandosi dal turismo in località di montagna a quello in mare, magari su una barca, si è mai sentito di qualcuno prevenuto contro le previsioni meteo che ogni navigante, anche da diporto, consulta doverosamente (spero) prima di prendere il largo?


                                                                                     Silvano C.©


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Uomini - Bambini


Che dire dell’uomo che non accetta che la sua compagna lo lasci e che decide di ucciderla? Solo che è un assassino, ovviamente.
Nei casi in cui l’uomo uccide la donna non serve usare devianti giustificazioni di comodo, come: amore passionale finito in tragedia, amante tradito che si vendica, marito che non vuole lasciare la moglie e la uccide… nessuna di queste spiegazioni è giornalisticamente e mediaticamente corretta. Se non si accusa l’assassino senza giri di parole si diventa in parte complici, e si giustifica nella popolazione un’idea sbagliato di possesso, di diritto dell’uomo sulla donna che NON esiste.

Ma io credo sia giusto fare un passo avanti, e definisco infantili tali “uomini”, incapaci di accettare una sconfitta come il piccolo calciatore viziato dal padre fanatico, come il bambino della scuola materna che molla un calcio all’amichetto che gli ruba il gioco, come il  malato mentale che vede in tutti odio nei suoi confronti, o come l’immaturo, infine, che non sa accettare la realtà e comportarsi da persona civile. 
“Io voglio tutto e subito” è un male che la nostra società diffonde sempre più, e che io vedo anche in certi movimenti apparentemente di democrazia dal basso ma che in realtà parlano solo alla pancia, non certo al cuore e assolutamente non al cervello. Se un paese, con le sue istituzioni, fa una certa scelta, ragionando in tale modo deviato ed infantile, io penso sempre di poterla contestare all’infinito, usando ogni mezzo lecito e non lecito per imporre la mia visione.

Ma tralasciando deviazioni dal tema, ribadisco il concetto. Occorre deridere questi immaturi assassini. Cacciarli in galera, dopo il giusto processo, ma trattarli da quello che sono, cioè bambini viziati,  persone mai cresciute, individui che pensano di essere gli unici a soffrire, egoisti e pericolosi come possono esserlo certi bambini quando sono cattivi tra loro. La vita non è difficile solo per questi, ma i poveracci vedono solo il loro piccolo mondo, ed il resto non conta più. Non capiscono che la realtà offrirebbe loro altre occasioni di essere prima di tutto utili agli altri, e poi sicuramente di realizzare anche i loro sogni, come tutti.
Uccidono donne più forti di loro, più mature, più abituate a soffrire, più disponibili, più innocenti, più aperte, più umane.  Ci tolgono ricchezza e ci lasciano la loro sporca miseria sub-umana. Rubano diamanti e ci lasciano merda. Sono stanco di uomini-bambini.


                                                                                     Silvano C.©


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lunedì 12 agosto 2013

Valentina


Da ragazzina era sveglia, riservata, di ottima famiglia, educata. Sicuramente matura per la sua età.

Un 14 febbraio un insegnante un po’ giocherellone la fece uscire dall’aula, assieme ad altri due suoi alunni di altre classi, che si chiamavano Valentino entrambi. I poveri sventurati risposero, uscirono dalle loro aule dove in quel momento stavano seguendo le lezioni, l’insegnante pazzo, che aveva un’ora libera, si fece seguire in una stanza, spiegò loro le sue tragiche intenzioni, mostrò le ali di cartone e le ghirlande, sempre di cartone, che aveva ritagliato ed assemblato usando il prezioso materiale didattico scolastico  di facile consumo e li fece “vestire”.
I tre Santi Valentini poi, con grande diletto dell’insegnante stesso, delle classi che via via andarono a disturbare, di alcuni colleghi insegnanti (non tutti ad essere onesti) e dei bidelli che videro questa strana processione assolutamente non autorizzata dal preside, bussarono ad ogni porta, si presentarono, spiegarono che nell’atrio della scuola, durante l’intervallo, ci sarebbe stata un’urna bella quale, chi avesse voluto, avrebbe messo un biglietto indirizzato ad una compagna o ad un compagno di qualsiasi classe, con una breve frase adatta all’occasione. Dopo l’intervallo, gli stessi "Valentini" avrebbero recapitato agli interessati il messaggio loro indirizzato. Iniziò così una breve tradizione, in quella scuola, e Valentina non perdonò mai quell’insegnante pazzo (forse...).

Poco tempo dopo un gravissimo fatto di cronaca nera rese Valentina orfana di padre ma la vicinanza della madre, la sua maturità, ed il tempo, la aiutarono a superare, almeno in parte, quella assurda tragedia.

Anni dopo, molti anni dopo, Valentina, con la madre,  incontra casualmente quel vecchio insegnante pazzo. Ora lei è un medico, è bella e sicura di sé, ma è rimasta educata, quasi modesta, una bellissima persona insomma. Lui scherzando le dice che non le spiacerebbe prenderla come medico personale. Lei spiega che è specializzata in pediatria, ma lo dice senza ironia, perché sa rispettare gli altri, lo ha sempre saputo fare.
È il vecchio insegnante pazzo che invece, al posto di lei, non impiega più di pochi secondi per concludere come si dovrebbe quella conversazione, solo mentalmente però:
 - In effetti io ora non ho bisogno di un pediatra ma piuttosto di un geriatra -

                                                                                     Silvano C.©


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domenica 11 agosto 2013

Spesa al Discount


Brevissimo dialogo immaginario, in due battute, seguito da un approfondimento leggermente meno breve.

Dialogo:
“Vedere in TV gente che compra alimentari al discount sostenendo di spendere la metà fa capire che la salute della popolazione peggiora.”
“Non concordo, e sostenere che alimentari acquistati nei discount siano nocivi alla salute è fare terrorismo
( è un pò un dialogo tra sordi, e non è neppure un vero dialogo, perchè la seconda battuta non replica fedelnente alla prima, che infatti non fa cenno di alimenti nocivi nei discount, ma non per nulla è un DIALOGO IMMAGINARIO, no ? )

Approfondimento
Il presidente Istat Enrico Giovannini dice, nell’aprile del 2013, che la crisi ha modificato i modelli di consumo. Il 71% delle famiglie ha modificato quantità e qualità dei prodotti alimentari acquistati, quasi eliminando le spese per visite mediche e analisi cliniche.
Quindi l’Istat dice esplicitamente che cala la qualità dei prodotti ed il livello di protezione per la salute. (fonte: dati Istat)
Valerio Giaccone, docente di Ispezione degli alimenti all'Università di Padova, aggiunge che la ricerca del solo risparmio, i controlli ridotti da parte delle ASL, e la minore attenzione alle etichette da parte dei consumatori aumentano i rischi per la salute.
(fonte: Adnkrons Salute – 22 luglio 2013)
A volte il prezzo per i prodotti offerti è veramente troppo basso, e così compriamo pomodori cinesi, ad esempio, o altri alimenti prodotti dove i controlli non sono al livello italiano o europeo. Sergio Calabrese, nutrizionista, si dice preoccupato a tal riguardo. Una mozzarella su 4 proviene da latte non italiano, e non sicuro. Unica voce contraria in questo caso Valeria Brigniani, che in un libro e sul suo blog sostiene che non sempre prezzo alto significa qualità. (fonte: L'Europa scopre i rischi della spesa a basso costo, Legambiente, 31/5/2013)

Conclusioni
Fatto salvo che al discount si può fare la spesa, risparmiare e non morire necessariamente avvelenati, anche nella normale distribuzione sono sempre più diffusi i prodotti a prezzo più contenuto.
Comprando frutta, verdura, uova, formaggi e così via da produttori locali si saltano mediatori, magari con i gruppi di acquisti solidali. Non servono il discount o la grande distribuzione e la qualità è maggiormente garantita.
Se si va al discount e si riempie il carrello di bevande gasate non di marca, di dolci e patatine non prodotti in Italia, di imitazioni pacchiane di altri e più noti alimenti la salute non ne ricava alcun vantaggio, e, tutto sommato, neppure il portafogli.
Pure al discount ho visto in vendita pane e generi da forno freschi. In vari casi si tratta di pane prelavorato all’est, in condizioni non controllate, e semplicemente cotto in Italia. Se dal fornaio costa di più,in questo caso, un motivo c’è.
Andate a Ferrara, osservate cosa succede se un fornaio si azzarda a vendere una coppia di pane (ciupeta) non come si deve, e poi raccontatemi gli sviluppi. Sono curioso di leggere la risposta che scriverete, se avrete la bontà di farlo.

Non credo di aver fatto terrorismo, come scrive l’interlocutore, mi auguro solo di aver dato uno spunto di riflessione sugli effetti della crisi sulla nostra salute. E concludo con una massima di mio nonno: se vuoi risparmiare, non spendere poco.

                                                                                     Silvano C.©


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Delirio di onnipotenza


Il delirio è una sindrome, cioè un insieme di sintomi che, con modalità o tempi diversi, annullano una modalità condivisa di rapporti e di percezione della nostra condizione umana, della realtà accettata dai più. Ovviamente è una mia elaborazione personale da profano, e non pretendo assolutamente che sia esaustiva o corretta.

L’onnipotenza, a sua volta, è letteralmente la possibilità di fare tutto, che comporta il sapere tutto. Per alcuni è la perfezione assoluta, per altri una condizione infantile e passeggera, per altri ancora una limitazione della libertà personale, e così continuando.
Il delirio di onnipotenza è quindi una condizione contraddittoria, patologica, potenzialmente pericolosa. Sembra quasi una figura retorica, un ossimoro, poiché accosta tra loro due termini per certi versi contrari:

Delirio – malattia, anomalia di giudizio, azione distorta, male.
Onnipotenza – perfezione, potere assoluto, azione positiva, bene.

Quanto sia discutibile il concetto di bene e male è evidente, ed anche di azione o distorta oppure positiva, ma fingo di non vedere questi difetti nel mio ragionamento, e proseguo, perché non intendo fondare una corrente filosofica, e sfrutto solo come artificio questa premessa, per arrivare a quello che mi interessa.

Quando si vede un'ingiustizia e si vorrebbe intervenire direttamente per annullarla, si sfiora questo D.d.O. (delirio di onnipotenza). Noi, in effetti, normalmente non abbiamo questo potere, se non in misura limitata e occasionale. Alcuni possono farlo usando la loro professione, in particolare i giudici, gli uomini di legge, i politici, gli insegnanti quando giudicano, gli assistenti sociali, e tante altre figure, non escluse quelle religiose (anche se con loro il discorso specifico diventa rischioso e preferisco ignorarlo, qui). Ma anche un giudice, fuori dal tribunale, non può nulla o quasi.
Il D.d.O. quindi normalmente rimane un sogno, un cedimento ad un momento di rabbia, una fantasia malata.

Un ottimo modo per esorcizzarlo, questo delirio, è scrivere. Un breve racconto, un romanzo, una poesia, un poema, una canzone. Oppure raccontare storie, con capacità affabulatorie che alcuni hanno e sanno dispensare, facendone talvolta una professione, allo stesso modo degli scrittori. Raccontare con parole o con segni muti da scorrere con gli occhi significa vedere mondi nuovi, paesi lontani, mostrare il reale vicino con altra prospettiva, significa a volte non solo documentare, ma inventare, modificare. Ecco allora che l’assassino, che si nasconde impunito, o che sfugge alla legge umana, non sfugge al romanziere, che lo punisce con sadico potere liberatorio.
E lo stupratore paga decuplicati, senza salvezza finale, i suoi debiti e la sua mancanza di umana pietà. Allo stesso modo lo scrittore, come un dio, porta la salvezza a chi ha subito un torto, restituisce la dignità a chi l’ha persa senza colpa, e ripaga con un artificio la disperazione ed il dolore.

A volte però (questo lo dicono moltissimi grandi scrittori, ed io non posso che prenderne atto) i personaggi diventano autonomi, si svincolano dall’autore, agiscono con libero arbitrio, annullano la sete di onnipotenza che sfiora il delirio, e restituiscono una realtà fantastica che rifiuta ogni morale precostituita e ogni giustizia imposta. Allora l’opera letteraria o il racconto dell’affabulatore sfiorano la perfezione artistica e ci restituiscono alla nostra condizione umana, non certo divina. Perché questo siamo, solo uomini.

                                                                                                    Silvano C.©


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sabato 10 agosto 2013

V



Aspetta da ore, dietro la pesante porta del palazzo. In tasca ha un coltello da sub, nuovo, nel fodero, comprato tre mesi prima in un grosso negozio sportivo nella galleria dell’ipermercato di Casalecchio di Reno. È stato un viaggio lungo per lui arrivare sino a Casalecchio, perché da un po’ di tempo fa fatica a guidare, e la sua vecchia Tipo grigio topo metallizzata ma un po’ scrostata del ’90 fa più fatica di lui. Voleva comprare quel coltello e non farsi riconoscere in alcun modo. Ha aspettato gli inizi di luglio, quando è normale comprare attrezzature sportive per pesca subacquea, ed ha atteso pure un momento di ressa alle casse, per pagare, con un bel paio di occhiali da vista, dei quali lui non ha alcun bisogno, ed un berrettino della Yale University ben calcato in testa. Il coltello è affilatissimo, con una parte seghettata, pesante, robusto, lama lucida ed impugnatura anatomica di gomma nera. Ora lo tiene con attenzione, perché non vuole ferirsi, e, ancor meno, lasciare impronte digitali. Non lo ha mai toccato a mani nude, sempre con guanti in lattice, da quando lo ha tolto dalla confezione originale, gettata ormai da tempo nella indifferenziata, ed ora finita chissà dove.


Aspetta da ore, dietro la pesante porta del palazzo, e la sua mente torna a quel giorno tragico di oltre un anno e mezzo fa, quando al telegiornale locale delle 12 leggono una notizia brevissima in cronaca nera: “Il noto gioielliere Vender, alle ore 9:40, alla guida della sua grossa auto ha travolto ed ucciso una giovane di 25 anni, tale Anna Sofritti. Sottoposto agli esami di rito all’automobilista è stato riscontrato un tasso alcolemico triplo del consentito per legge…” non riesce ad ascoltare oltre, Guido; Anna è la figlia di Giacomo, suo amico d’infanzia, che ha visto l’ultima volta una settimana prima. E Giacomo, che vede un po’ di rado, ma col quale non ha mai perso i contatti, è la persona alla quale è ancora oggi più legato, dopo sua moglie ed i suoi figli. Si sentono una o due volte al mese, è vero, ma ogni volta è come se si fossero lasciati solo 5 minuti prima. Ricorda quando ha perso la sua Camilla, dopo un calvario durato tre anni, in seguito ad un intervento al seno. E sorride quando gli torna in mente lo scherzo che lui ha organizzato ai danni della coppia di freschi sposi, con quel finto furto dell’auto addobbata con i fiori da usare per la cerimonia. Scherzo finito con risate da parte di tutti, anche della coppia. No, non doveva capitare anche questo, non è giusto.

Aspetta da ore, dietro la pesante porta del palazzo, e la rabbia gli fa vedere quei mazzi di fiori sempre freschi appoggiati sul marciapiede dove è stata investita ed è morta Anna. Una rabbia sorda e cieca, alimentata solo da una sete di giustizia frustrata. Il Vender è stato condannato, ma non ha fatto un solo giorno di carcere. Non guida ancora l’auto, è vero, ma lo vede ogni tanto sorridente dentro una delle sue tre gioiellerie, dietro i vetri blindati, quella in Via Garibaldi. Per lui la vita continua come prima, se la gode, fa affari anche se è un assassino, va in vacanza, vede gente ed ha una faccia da porco.


Aspetta da ore, dietro la pesante porta del palazzo, e pensa alle tombe in Certosa, lontane una dall’altra, perché il suo amico Sofritti non ha mai avuto il denaro per comprare una tomba di famiglia o anche solo loculi vicini uno all’altro. Sono però in campi vicini, e l’ultima tomba è quella di  Giacomo, morto di crepacuore, o suicidato, qui le voci non sono concordi, meno di sei mesi dopo l’incidente della figlia. Lui ogni tanto va in Certosa, il posto gli piace, ritrova tanti che conosce. Quelli che non conosce, dopo ripetuti passaggi davanti ai loro monumenti funebri o alle loro lapidi, si convince di averli conosciuti.
In Certosa ha l’impressione che la vita sia più accettabile. La moglie non sa che lui ogni tanto, invece di fare i soliti due passi in centro, va nel cimitero. Lì parla con quelli che lo ascoltano, si confessa, dice cose che i vivi non sapranno mai di lui. È con loro che poco a poco ha deciso di vendicare l’amico, raccontando ed ascoltandoli. Lo hanno sconsigliato, è vero, ma non tutti. Un maresciallo severo gli suggerisce, muto, di non fare cazzate, di stare attento a non lasciare nessuna prova, e che se ritiene giusto farlo, che lo faccia senza perdere mai la calma e la concentrazione, senza fare errori.

Aspetta da ore, dietro la pesante porta del palazzo, e sente il bisogno di svuotare la vescica perché la prostata, alla sua età, non gli concede troppa autonomia. Ora è buio. Si azzarda a muoversi, entra nel cortile e trova un cespuglio provvidenziale, ma ha paura di essere visto o udito. Fa in fretta, poi torna dietro la pesante porta, e nessuno lo ha notato.

Aspetta oramai da ore, dietro la pesante porta del palazzo, ed inizia ad essere stanco. Comincia ad avere sempre più dubbi. Ora è del tutto buio e lui vede un po’ nero, in tutti i sensi, scorge difficoltà impreviste, comincia  a pensare che potrebbero separarlo per sempre da sua moglie e dai suoi figli.
Non prova pietà per l’assassino, ma si rende conto che da mesi lui stesso ragiona come un assassino, anche se per vendetta, per sete di giustizia, per pareggiare i conti.
Esce dal nascondiglio e va in strada, quasi stupito dello strano silenzio attorno. Non passa nessuno. Percorre a piedi vicoli e piazzette, sbuca in Via Saraceno, si avvicina alla sua bicicletta parcheggiata davanti ad una libreria con molti testi ebraici, toglie la catena, sale in sella e pedala passando per il Listone sino al ponte sul canale di Burana, in Via Bologna.  Qui si affaccia dal parapetto, getta il coltello, poi si dirige in Via Argine Ducale. La moglie tornerà solo tra qualche ora, dopo aver trascorso la giornata con la vecchia madre.


Il gioielliere Vender, quel giorno, è vittima di una rapina. Brutalmente aggredito, morirà dopo 20 giorni senza riprendere conoscenza. Lui questo lo scoprirà solo il giorno dopo.


                                                                                     Silvano C.©


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venerdì 9 agosto 2013

RESPONSABILITA' ED IMITATORI - Qui si tratterà del come sia facile influenzare le azioni altrui, avendone i mezzi, l’intelligenza e la volontà. E di quali siano i vaccini da usare per non farsi manipolare.


Premessa in forma di allegro aneddoto 
Tanti anni fa, quando vivevo a Riva del Garda, e talvolta passeggiavo per il centro, includevo nel mio vagabondare la zona della Rocca, la fortezza cittadina che deve il suo aspetto attuale all’intervento degli Scaligeri che dominarono quella zona attorno al trecento. È  circondata da un fossato navigabile, ed è unita alla piazza da un ponte, soprannominato Pont dei Strachi. Il nome, secondo alcune fonti (Donato Riccadonna, ad es.), andrebbe attribuito al fatto che su quel ponte stazionava sempre gente che attendeva di entrare nell’ufficio del lavoro.  Per me invece, vissuto a Riva alcuni anni dopo, il nome era legato al numero sempre variabile di sfaccendati ed epigoni delle rivolte degli anni precedenti, ora meno politicizzati e un po’ più persi che immancabilmente vi trovavo quando ci passavo, a qualsiasi ora del giorno o della notte.
Poiché ho sempre avuto momenti di pazzia infantile, che ho tentato di mascherare sotto una veste di serietà mentre lavoravo, un giorno, per gioco, ho preso alcuni palloncini, li ho riempiti di acqua alla fontanella della piazza, e li ho lanciati agli amici che mi accompagnavano, avendo l’accortezza di non colpirli, perché scherzare mi piace, ma sino ad un certo punto. 
Dal ponte mi hanno visto. L’idea ha colpito ed è piaciuta. Per vari mesi il centro di Riva del Garda ha subito il bombardamento di gavettoni che non risparmiavano nessuno. È intervenuta pure la polizia municipale. Credo che un giornale locale ne abbia parlato. Il mandante per fortuna non è mai stato individuato, ed ora, passati oltre 30 anni, anche la prescrizione ha estinto quella colpa giovanile.

Inizio dell’analisi seria
Da allora ho capito che l’imitazione può essere un fattore micidiale, che l’idiozia non mediata da un minimo di autocontrollo può creare danni enormi. Ricordate i sassi lanciati dai cavalcavia, immagino, per citare un caso ben più tragico e delinquenziale. Non mi addentro in analisi psicologiche, perché non mi interessano. Sono sempre stato e resto un istintivo. Se avessi voluto dominare i miei innumerevoli alunni con mezzi diversi da quelli della mia passione, delle mie urla quando ero stanco, del mio esempio di serietà nel richiedere impegno dopo averlo dimostrato a mia volta, malgrado i miei indiscutibili limiti, forse non ci sarei neppure riuscito. Non mi interessava dominare in questo modo, usando, in altre parole, la manipolazione. Altri invece intendevano la didattica esattamente così: il controllo della classe.

Controllo politico e sociale
Usando queste due modalità fondamentali, l’imitazione e la manipolazione, si ottiene da sempre il controllo della società da parte dei vari poteri. Alcuni di questi poteri sono non fini a sé stessi, ma hanno uno scopo educativo, positivo. Tra questi io vedo il sindacato, i partiti della sinistra che vorrebbero portare equità e giustizia, i buoni maestri, i preti quando stanno dalla parte dell’uomo e non della dottrina, e pochi altri.  Tra i poteri negativi io vedo invece la pubblicità, i partiti e movimenti demagogici ed opportunisti, i preti reazionari, l’economia che ha perso di vista il prodotto concreto a vantaggio della finanza, e così via.
Ad esempio è imitazione positiva aiutare un operaio da parte dei suoi compagni di lavoro, è manipolazione negativa invece sfruttare la propria popolarità e l’ignoranza di chi ascolta per imbottire di superficialità, impedendo ogni approfondimento, offendendo, oppure facendo battute per apparire simpatici ma avendo come fine chiaro il plagio delle menti altrui, che quindi si imiteranno tra loro, creando uno spaventoso effetto a catena che farà soccombere tutti quelli che rinunceranno ad usare la loro testa in favore delle idee del capo. Non servono esempi, credo, né nella cronaca recente né nella storia del secolo scorso.

I mezzi di comunicazione sono fondamentali per mantenere questo controllo, e sono loro stessi responsabili degli effetti negativi che possono produrre.

Vaccini (conclusione)
Poco resta da aggiungere, credo. Chi mi ha letto sin qui può concludere da solo. Chi mi ha seguito dedicandomi attenzione sa che esiste una sola cura preventiva: l’educazione.
La scuola pubblica statale, perché solo quella per me è la scuola che educa alla democrazia e non alla segregazione, quando è messa in condizione di funzionare, quando non è ostacolata da altre forze e quando ha insegnanti motivati e responsabili, fornisce un primo vaccino. Chi legge ed approfondisce i singoli temi dei quali si interessa difficilmente cadrà preda di infezione. Se poi un tema non si conosce (e non si può conoscere tutto), occorre aver individuato persone serie di riferimento, che abbiano dato prove di correttezza ed equità.
Quando la malattia è in atto, non si parla più di vaccinazione preventiva, ma di cura mediante un siero. I danni ormai ci sono. Occorre combatterli. Noi ora siamo in questa fase difficile. Ci siamo ammalati.
I vaccinati possono estendere il loro ombrello protettivo anche sugli altri: dialogo, pazienza, discussione, tentativo, convinzione, voto, umiltà, fermezza (e molto altro). Ma occorre anche tentare di bloccare l'estensione dell'infezione, ed obbligare tutti, con le buone o le cattive, a rispettare le regole della democrazia usando tutti i mezzi legali che abbiamo a disposizione.
                                                                                                   Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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