giovedì 30 marzo 2017

Mille lire


Questa te la devo raccontare.

Ieri stavo ad una riunione di condominio più importante delle solite con informazioni da ricevere su vari temi vitali. Non sei mai venuta e queste riunioni, mandavi sempre me, che poi ti raccontavo tutto. Ora non posso farlo come succedeva una volta, ma te la voglio raccontare lo stesso così. So che mi leggerai, in qualche modo.

Le cose, malgrado le immancabili paure che qualche cosa possa andare storto all’ultimo minuto, sembrano aver imboccato la via giusta. Dopo quattro anni (che per alcuni sono cinque) sarebbe pure il caso. Forse riusciamo a venire fuori dalle conseguenze di un terremoto che ci ha colpiti pesantemente, togliendoci la serenità per molto tempo. Ribadisco scaramanticamente il forse. Ne saresti felice. Sai quanto ci tenevo. Mi spiace però dirti che ora che ci tengo molto meno di prima. Senza di te molte delle mie motivazioni sono venute meno. Per ora resto a vedere cosa succederà nel breve periodo, fingerò che tutto vada secondo i piani, e intanto, con i prossimi anni, capirò meglio cosa sarà giusto fare.

Ti dicevo comunque che stavo a questa riunione. Al solito, dopo un po’, mi sono annoiato di stare seduto ed ho iniziato a camminare, sul fondo della sala, ascoldando ed intervenendo raramente, ogni tanto, quando era necessario. Ad un certo punto mi sono toccato la tasca posteriore dei pantaloni ed ho avvertito una strana consistenza cartacea. Ho pensato ad un tagliandino rimasto nascosto per caso. Ho messo la mano dentro la tasca per capire e ho estratto una banconota di mille Lire.

L’ho guardata stupito. Ma come è possibile? È dal gennaio 2002 che in Italia c’è l’Euro, che ci permette di girare ovunque o quasi in Europa senza bisogno di avere banconote diverse per ogni Paese visitato. E questa vecchia banconota da quanto tempo stava nella tasca? I pantaloni poi li uso da pochi giorni, recuperandoli da una serie che da anni non mettevo più, perché nel frattempo avevo messo su qualche chilo.
Quindi io sono dimagrito, e a suo tempo ho lavato questi miei pantaloni (perché ho sempre curato io il lavaggio) e tu me li avevi stirati ed appesi (perché eri tu sino a qualche mese fa che stiravi, in casa). Nessuno dei due si è accorto di questi soldi, che sono rimasti almeno quindici anni nella tasca.

Quindi anni fa erano vivi i miei genitori, anche se mia madre già stava male. Erano vive molte persone, poi scomparse. Eri viva tu, Viz. Ed ora quando esco ho i pantaloni stirati da te. Nell’armadio inoltre ho molte camicie invernali ed estive che mi ha stirato tu, del resto, e non mi va ancora di metterle. Conservano la tua presenza.

So che è una perfetta idiozia ma questo mi serve ancora, mi aiuta e mi fa compagnia, come mi serve potertelo raccontare, o venirti a trovare dove non sei, o sistemarti un campanellino in modo diverso, o metterti un piccolo uovo decorativo pasquale di legno, colorato e vivace. Penso anche ad alte cose, a dire il vero, ma non ho molta fretta di realizzarle. Intanto ci penso, e tu non pensare di cavartela con un campanellino ed un ovetto. Ciao, Viz


                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

martedì 28 marzo 2017

Homo faber




L’impossibilità di fermare l’azione, la necessità di reindirizzarla dopo un momento di smarrimento e la volontà di mantenere ogni riferimento con il nostro progetto, cascasse anche il mondo, sono la fase attuale. Agire mi aiuta e fermarmi mi uccide.
Ti ho coinvolta spesso in imprese che probabilmente avresti lasciato perdere, ti ho costretta a percorrere strade e sentieri anche quando eri stanca, e, siine consapevole, ma so che lo sei, eri tu che mi facevi muovere con maggior energia e soddisfazione, anche quando ci capitava di litigare appunto per la mia fretta e il mio voler arrivare prima.
Non saresti stata la stessa, io non sarei mai stato lo stesso.
Mi verrebbe voglia di scrivere una dedica a te. Già ho iniziato a farlo, per chi mi conosce di più, ma è ormai uno stato di fatto, anche nella intestazione di questo blog. Io non sono un grande regista o un grande scrittore che si può permettere, nelle sue pagine o nei titoli di apertura o di coda, di scrivere: dedicato a… tuttavia questo mio blog da oggi è dedicato a te.
Inoltre considera sempre la tua eventuale assenza come una mia gentile concessione, o peggio, distrazione. Non ti concedo di riposarti neppure adesso. Ora, secondo certa modalità di comunicazione consolatoria, tu stai riposando. Ma chi lo pensa non mi conosce, non ci conosce.

La necessità di agire e costruire o demolire, spostare e aggiustare, adattare e reinventare e, sempre, valutare cosa ne avresti pensato, è un aiuto formidabile. Per certi aspetti è un passatempo, ed in questo caso sembra che il tempo che passa giochi a nostro favore. Agire e fare di persona poi mi rende meno bisognoso di aiuto esterno, quindi poi posso permettermi, col poco che risparmio, qualche piccolo lusso. Inoltre se mi stanco poi dormo meglio, e magari ti deciderai di venirmi a trovare in sogno, una buona volta. Forse ti rompo già abbastanza le scatole di giorno, per ora, ed hai deciso di aspettare. O invece sei già passata più di una volta e poi l’ho scordato, chi lo sa.

Ora sai benissimo che non riesco a stare fermo, ed ho iniziato a pensare ai grandi lavori che mi aspettano. Tu non mi potrai criticare o consigliare direttamente, lo so. E non potrai neppure vedere ogni cosa quando tutto sarà finito. Alcune tue scelte sono state già esaudite però, e altre in seguito lo saranno, anche quelle che non hai avuto il tempo di esprimere. Per ora non mi annoio. Sono mesi che non mi annoio. Qualche volta la burocrazia è decisamente troppa, a tal proposito, ma poco alla volta ne esco, ne usciremo tutti.

Dedicato a te, Viz.

                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

lunedì 27 marzo 2017

Il baratro

Informativa sulla privacy

La sensazione è quella di vivere in una specie di bolla senza tempo, fuori anche dallo spazio. Le persone vengono avvertite come filtrate, attutite, deformate da trasposizione e immaginazione, oltre che da preconcetti e pregiudizi. Si avverte in lontananza il rumore come di una cascata di enorme potenza che è bene lasciare a debita distanza per non essere attirati nello spostamento d’aria che genera. Prima di tutto per non farsi trascinare nella sua folle corsa verso il basso, verso le rocce del fondo, e poi per evitare anche gli spruzzi, o l’acqua nebulizzata, capace di infettare come un batterio aerobico tutto ciò che incontra attraversando l’aria.

Dentro c’è sicurezza, tutto continua come prima, si opera la negazione del reale e la reazione obbligata è la fuga dalle persone, almeno in certi momenti della giornata. Il dialogo impossibile continua come se fosse naturale, il tempo passa ma lo si ignora e si vuol tornare alla situazione precedente. Ogni fase che si attraversa del difficile cammino sull’orlo del baratro si avverte come una liberazione e anche come una minaccia. Liberazione dal dolore ma contemporanea minaccia di perdere in modo definitivo un legame che si vuole mantenere, fissato, inalterabile ed inalienabile, trasformato in monumento.

Ogni reazione ha suoi tempi fisiologici e patologici. Il baratro è oggettivo. Caderci è soggettivo. Capire se si sta cadendo o se semplicemente si sta camminando sul bordo, al suo limite, perché così è naturale che avvenga, è dato alla sensibilità di ognuno. Forse qualcuno nasce con un bagaglio di difese innate e si allontana dal pericolo senza bisogni particolari mentre altri necessitano di stimoli esterni. Impossibile dare regole, come già ho scritto sul tema, siamo nel caso della più completa individualizzazione delle risposte possibili.

Certo che dover ammettere la necessità di un nuovo progetto e buttare al macero anni di preparazione per qualche cosa che non avverrà più non è facile. Prima di tutto è ingiusto, perché occorre salvare tutto quanto è recuperabile ed è necessario mantenere il rispetto per chi ha condiviso il progetto. E poi è difficile. Fa uscire allo scoperto dopo che ci si era costruito un comodo rifugio, ed esattamente mentre è scoppiato un temporale fortissimo.

Nel gorgo che si genera in una vasca piena d’acqua quando si toglie il tappo sul fondo nulla sfugge di quello che è imprigionato nel liquido o vi galleggia sopra. Solo alzandosi sopra la sua superficie non si è raggiunti dalla forza del gorgo e si può osservare a distanza la rovina senza esserne toccati. La rovina è visibile, percepibile, intuibile, ma rimane sotto, sotto controllo. È un equilibrio spesso precario e da ripristinare appena ci si sbilancia, o da correggere appena si avverte maggior forza dentro di noi.

E da dove viene la forza che ci potrebbe salvare allora? Io una mezza idea me la sto facendo.

                                                                             Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

domenica 26 marzo 2017

la brevità




Non ci si abitua, sembra innaturale, si pensa di essere eterni mentre chi ci stava vicino sino a pochi giorni, mesi o anni prima ora non c’è più. Questo, se la logica deve portare a qualche considerazione, dovrebbe farci capire che siamo qui per caso, per gentile concessione, in scadenza anche se non sempre la data di scadenza è visibile.
Tuttavia la logica non basta. Verrebbe voglia di invidiare l’incoscienza presente nel mondo animale e vegetale (che i tassinomisti mi perdonino), ma si è ciò che si è, non ci sono alternative.

È il senso del limite che dovrebbe prevalere in ogni nostra considerazione, la consapevolezza che il tempo da vivere, fosse anche lunghissimo, sarebbe sempre breve. In un momento di ottimismo mi viene da pensare a che cosa è rimasto di chi è già andato via. Cosa è restato dei comuni mortali intendo, che non hanno scritto opere memorabili, non costruito cattedrali, non scalato vette impossibili, non raggiunto gloria in terra.

Nella loro (e nostra, ovviamente) brevità hanno lasciato dentro di noi la loro memoria, tanto più forte quanto più ci sono stati accanto. Di alcuni conserviamo ricordi piacevoli, abbiamo un’opinione positiva, e siamo molto vicini a quello che erano, proviamo empatia, vorremmo mantenere vive le cose che loro amavano, seguirne le orme, dimostrare di averne appreso la lezione.
Con altri, capita, che abbiamo criticato, non capito e giudicato male, non siamo per nulla disposti a scordare. Alcuni erano stronzi in vita, perché non dovremmo pensare che lo fossero ora che sono morti?

E si ritorna al senso della brevità, e di quello che la rende meno breve. Vivere in modo da curare solo il proprio io ed il proprio interesse a cosa porta se non a restare nella memoria come dei perfetti egoisti? Una persona che conoscevo viveva sopra le righe, senza limitarsi e sprecando inutilmente. Non era ricca, ma viveva come se lo fosse. Non si curava di mangiare e bere in modo sano e moderato, e una sua frase che ricordo è: ma perché devo vivere da malato per morire sano? Alla fine però è riuscita a far impazzire quasi tutti quelli che le stavano accanto, che la dovevano sopportare. Ed ha avuto, oltretutto, una lunga vita da rompiscatole. Un’altra persona che ora ricordo per contrasto ha vissuto preoccupandosi di lasciare qualche cosa, ha accettato sacrifici e si è concessa pochi lussi. Per ironia della sorte ha vissuto meno a lungo della prima, a dimostrazione che non esiste alcuna giustizia in questo; la sola che ci rimane possibile è come noi ricordiamo.

Ed allora, se solo questo mi è concesso, io mi permetto di pensare che non tutti i morti meritino lo stesso mio rispetto. Alcune persone non le ricordo con piacere neppure dopo anni, e mi lasciano ben poco dolore dentro per la loro perdita. Per altre la nostalgia, il dolore ed il rimpianto non sono mai sufficienti. C’è una morale in tutto questo? Non lo so. Tu trovala, se ti va.


                                                                                           Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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